Giovanni Papini aveva presagito i Social?
Pubblicato in: Futuro Europa.
Data: 12 aprile 2020
In Italia è esistita una generazione di Giornalisti che ha attraversato momenti anche molto bui di storia, mantenendo sempre la lealtà prima di tutto verso loro stessi e, poi, anche nei confronti delle loro idee, partendo dal presupposto che anche queste possono essere cambiate e non sono certo eterne. A quel punto diverrebbero ideali; e non è detto che siano né giusti né sempiterni.
E’ probabilmente il caso di Giovanni Papini (Firenze 1881-1956), giornalista e scrittore ma non solo, che ha attraversato con l’acume della sua penna un periodo molto travagliato della storia d’Italia portando la sua personalità e le sue incertezze che erano, probabilmente, quelle del Paese che stava vivendo e gli umori mutevoli di un popolo troppo avvezzo al cambio di bandiera. Insomma un tipico italiano.
Papini visse questi momenti: nato da padre garibaldino, ateo e repubblicano, morì ricevendo l’estrema unzione: si era convertito negli anni del primo dopoguerra rendendo a sé stesso efficace il battesimo che la madre gli aveva fatto ricevere all’insaputa del padre.
Visse, come molti italiani, all’inizio del primo conflitto mondiale, una fase di deciso interventismo cambiando decisamente rotta e opinione, probabilmente consapevole della carneficina cui si stava andando incontro, rompendo con l’ambiente dei Futuristi cui aveva aderito e che era per lui “forsennato amore dell’Italia e della grandezza d’Italia (…) odio smisurato contro la mediocrità, l’imbecillità, la vigliaccheria, l’amore dello status quo e del quieto vivere, delle transazioni e degli accomodamenti”.
Verosimilmente, tuttavia, pur abbandonando il movimento non cambiò tanto presto idea su alcuni dei principi, tant’è che, successivamente aderì al fascismo e firmò addirittura il “Manifesto della razza”, salvo poi, in seguito, prendere le distanze da quella forma di razzismo che era probabilmente frutto di una decisione istintiva e non ponderata.
Altri evidenti indizi di come Papini fosse soggetto ad emozioni e momenti, si possono ricavare non solo dal fondare e chiudere testate giornalistiche in epoche in cui scrivere e stampare non erano semplici come oggi, quando basta una tastiera e chiunque si può sentire o improvvisare un novello Biagi o Montanelli. Aprì e chiuse “Il Leonardo”, con Giuseppe Prezzolini e, successivamente stesso destino ebbe anche la rivista “L’Anima”, fondata con Giovanni Amendola. Passò poi a “La Voce” con Giuseppe Prezzolini, ed in tutte le sue esperienze che portarono ad un arricchimento della cultura italiana. Tuttavia la frase che probabilmente rivela la complessa personalità di Papini è la celebre “Dio è ateo”, che oltre ad aprirsi a una quantità innumerevole di possibili interpretazioni, può dare un’idea della camaleontica personalità di chi l’ha pronunciata.
Ma nelle sue opere si trova anche una frase che, oltre a dimostrare l’acume di Papini, rende l’idea di quella che fosse la sua consapevolezza della difficoltà del mestiere di scrivere e, più ancora, di essere un libero pensatore, frase molto cara agli intellettuali e non di allora. Papini sosteneva che viviamo in un mondo in cui per esprimere un pensiero, è necessario avere già pronto un salvacondotto di scuse.
Si tratta di un’osservazione che porta a riflettere non tanto sul senso di responsabilità di chi si lancia in un’affermazione e deve essere pronto a difenderla e sostenerla ma anche, rapportando la frase ad oggi, nell’epoca di internet e dei social, sul fatto che si deve essere pronti e disposti a difendere il proprio pensiero non solo da chi, legittimamente, lo contesta in quanto portatore di una diversa istanza: è legittimo. Oggi si deve giustificare ogni nostra parola davanti ad un popolo che si sente portatore di verità e legittimo portabandiera del politically correct: i depositari della verità assoluta che sentono dentro di loro solo per avere in mano lo strumento che glielo permette. Un esercito contro cui combattere e che meriterebbe la penna di Papini dall’altro lato della barricata.
Ma l’arguto fiorentino, sembra già avesse previsto e preannunciato questa generazione di scrittori da tastiera e lo si può leggere in un suo aforisma: “In principio erano i mezzomini, cioè mezze bestie che però, con l’andar del tempo, diventarono, almeno in parte, grandiuomini, cioè eroi. Nei tempi moderni sono spariti viavia i gentiluomini, i galantuomini, e finalmente son quasi scomparsi perfino gli uomini. Ora son rimasti sulla scena i sottomini che stanno fantasticando intorno ai superuomini”.
Non è una perfetta descrizione della Rete in cui i sottomini, sono il gran pubblico della Rete che cerca di fantasticare essere il superuomo che, ben lungi dall’essere quel gentiluomo o galantuomo di una volta, è soltanto l’influencer di turno? Che aspetta di essere soppiantato, a breve, da quello successivo?
Forse nella sua esperienza di vita e letteraria, Papini già aveva applicato i principi che oggi vediamo sui Social.
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